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- DONKEY KONG COUNTRY
(SUPER NINTENDO) -

RECENSIONE SENZA SPOILER


UNA SCIMMIA PER NATALE
Questa recensione vorrebbe inaugurare un piccolo angolo dell’amarcord: spero di poter parlare di tutti i vecchi giochi che hanno segnato la mia infanzia, perché nella mia vita posso dire di aver quantomeno toccato praticamente ogni stadio evolutivo delle console da gioco.
Ho “iniziato” con il Commodore 64 (press play on tape…), ed ho potuto provare quasi tutte le tappe fondamentali del videogioco casalingo: Atari, Amiga, NES, Sega Master System, Sega Game Gear, Sega Mega Drive, Game Boy e via via fino all’attuale generazione.
Posso dire anche, però, che la mia vera svolta videoludica si verificò quando approdò in casa mia (era il natale del 1994) il Super Nintendo Entertainment System, detto anche Super NES.
Console a “16 bit” (in realtà era un 8 bit… ma fa niente), segnò il mio vero e trionfale ingresso nel mondo dei videogiochi, che fino a quel momento era stato praticamente solo occasionale.
E’ vero, avevo il NES: ma per un anno giocai solo a Super Mario.
E’ vero, avevo il Game Boy, ma ritengo costituisca un discorso a parte.
Il Super NES invece fu una vera rivelazione per me. La console, ricordo ancora, andai ad acquistarla all’Iper di Varese il giorno del mio compleanno (il 21 dicembre), e mi fu permesso di usarla quella sera stessa. Compreso nella confezione (in “bundle”, come si dice oggi), c’era l’agghiacciante picchiaduro a scorrimento “Legend” (ben altra fortuna ebbe un mio amico, che trovò lo spettacolare Super Metroid 3), ma la mia attesa era per IL GIOCO. Una cartuccia della quale lessi sulla prima rivista di videogiochi che comprai in assoluto, e che fu una vera folgorazione per me. Una tale folgorazione che mi spinse a volere la console solo per poterci giocare.
Quel gioco, ovviamente, era Donkey Kong Country.
I GIOCHI DI UNA VOLTA
Ricordo che dover attendere quei 3 giorni per me fu durissima… e infatti non riuscii a farlo: approfittando del fatto che la TV con la console era al piano di sopra ed i miei lavoravano di sotto, riuscii ad estrarre la cartuccia dalla confezione ed a provare DKC di nascosto! Ahrahrahr!
Beh, in verità vi racconto queste cose, di cui probabilmente non vi frega una cicca, solo perché sto cercando di temporeggiare, di trattenere un bel po’ di emozioni assortite e di entusiasmi farciti da nostalgia, perché – non mi nascondo dietro a un dito – considero DKC uno dei più bei videogiochi della storia dell'intrattenimento elettronico.
Allora, andiamo con ordine.
Cercate, se potete, di tornare con la mente al 1994. Cercate di visualizzare il mondo di allora: iniziava la diffusione massiva dei personal computer, che erano comunque ancora oggetti semisconosciuti per noi provinciali, e al cinema aveva da pochi mesi fatto il suo roboante ingresso nelle sale Jurassic Park. Niente telefonini, niente internet.
Nel mondo dei videogiochi facevano capolino nei negozi le prime PSX con 32bit ed i loro luccicanti CD, ma a farla da padrone erano ancora le 16bit: la guerra era tra il Super Nintendo ed il Sega Mega Drive.
Schiaffato il cartuccione nel Super NES ed acceso il medesimo (se la console era accesa non si poteva ne inserire ne estrarre il gioco… mica come oggi! Tse, troppo lusso voi giovani) si assisteva al primo, piccolo miracolo.
Il logo della software house – la Rare – compariva disegnato da un cursore (molto Automan… chi se lo ricorda? Ok la smetto con la nostalgia, giuro.) ed era… tridimensionale.
O meglio, sembrava in treddì, ma era comunque in bitmap. La novità estetica di DKC stava nel fatto che gli sprite, invece che disegnati “a mano”, erano riduzioni bidimensionali di modelli 3D: un po’ come se oggi la Pixar decidesse di realizzare un cartoon bidimensionale usando però i suoi soliti personaggi in computer grafica. Ma di questo parleremo più avanti.
DKC era (è…) un platform. Un platform bidimensionale: cose come Super Mario 64 e Jack & Dexter dovevano ancora essere inventate, e di Crash Bandicoot invece si iniziava soltanto a parlare.
Il protagonista del gioco era Donkey Kong, un gorilla che fu il primo nemico dell’idraulico baffuto di casa Nintendo (nella sua prima apparizione Donkey rapiva la principessa Daisy e tirava camionate di barili a quel nano peloso di Mario dall’alto del suo rifugio).
I malvagi Kremlings (una banda di coccodrilli) rubavano tutte le banane della vasta (vastissima!) riserva del nostro scimmione e… come dite? Perché dei coccodrilli dovrebbero rubare delle banane a un gorilla? Questi sono dettagli, si vede che siete abituati ai giochi moderni. E poi cosa vieta a un coccodrillo di farsi un frappè?
Comunque, compiuto detto furto, i maligni Kremlings si ritiravano sul loro galeone e… come dite? Perché dei coccodrilli dovrebbero avere un galeone? Giovani, cominciate a stancarmi.
Comunque, i rettilazzi se la battevano sul loro galeone che, guardacaso, si trova all’estremità opposta della vostra bella isola tropicale. Scopo del gioco: aiutare il gorilla Donkey Kong e la scimmetta Diddy ad attraversare l’isola per recuperare le sopraccitate banane.
Seriamente, si capisce che per gente abituata alle trame dei giochi di oggi, da far invidia ai film, un simile incipit sia ridicolo. Ma nessuno ha mai detto che per divertirsi servano chissà quali presupposti. E poi DKC è uno di quei “giochi di una volta”, quelli che puoi mettere su per farti una partita da 10/15 minuti nei ritagli di tempo, senza essere obbligato a partite di minimo un’ora con annessa preparazione e configurazione del gioco della durata di un paio di secoli.
I giochi di oggi sono bellissimi, perfetti, eccezionali. Su questo non ci piove.
Ma spesso manca loro la semplicità.
MA ‘NDO AVAI, SE LA BANANA NON CE L’HAI?
Il gioco ci accoglie subito con il suo tono avventuroso e scanzonato. Assistiamo ad una piccola gag accompagnata dal trascinante e divertente tema musicale di DKC, e scegliamo come giocare la partita. Si può farlo da soli, in due cooperando (in questo caso uno avrà il controllo di Donkey, e l’altro di Diddy) o in due in sfida (cioè uno gioca quando muore l’altro, e chi finisce prima il gioco vince).
Scelta la modalità di gioco, si scopriva la mappa dell’isola. Il primo “mondo” era piuttosto introduttivo, ma già si restava sbalorditi dalla qualità del gioco.
Il sistema di controllo era intuitivo al massimo e giocare con successo da subito era facile e alla portata di tutti, del resto la formula del platform era arcinota.
Si trattava ovviamente di saltare e correre evitando di cadere nei burroni, prendere i vari oggetti (comprese le famose banane, che troverete singole o in caschi sparse per tutti i livelli, come una scia lasciata dai malfattori in fuga…) e saltare in testa ai nemici.
Oltre alle banane, lungo i livelli è possibile trovare anche i familiari (per Donkey) barili: ce ne sono di varia foggia e per tutti gli usi. Importante è quello con le stelline sopra: segna la metà del livello, e rompendolo, in caso di perdita di una vita, ricominceremo a giocare il livello da quel punto.
La differenza tra i due personaggi era evidente: Donkey potente ed inarrestabile, ma anche piuttosto lento e agile come una betoniera; Diddy leggero come una piuma, ma veloce come un fulmine ed agile come un gatto.
E’ possibile cambiare personaggio in corsa premendo select e, quando si perde una delle due scimmie, la si può “recuperare” dentro un barile apposito marchiato DK. Se si perde anche la seconda scimmia beh… si perde una vita.
E’ determinante scegliere il personaggio giusto per affrontare alcune parti dei livelli, e ritrovarsi ad affrontare un livello con la scimmia “sbagliata” può complicarci la vita non poco.
Tra un livello e l’altro si potevano incontrare anche i parenti dei due protagonisti: Funky Kong, che permetteva (tramite un aeroplanino) di muoversi da un mondo all’altro (magari per tornare nel primo mondo a fare rifornimento di vite); la “avvenente” Candy Kong, dalla quale si potevano salvare i progressi di gioco; e in fine il mitico Cranky Kong, il nonno di Donkey, dispensatore logorroico di consigli (non sempre inutili…) e sempre pronto a ricordarci di quanto schifo facciamo, del tipo “io una volta ho finito il gioco in 10 minuti! WACK!!!” (rumore di bastonata in testa… ce le da' davvero, giuro).
I livelli del gioco si sviluppavano in diversi ambienti, per ogni gusto: si partiva dalla classica giungla tropicale alla fabbrica abbandonata, passando per un ghiacciaio e per delle miniere alquanto spettrali. Non mancava l’ambientazione subacquea.
La bellezza delle ambientazioni, spesso e volentieri, faceva perdere qualche vita solo perché ci si distraeva a guardare il paesaggio. Un ambiente, poi, dovrebbe risultare particolarmente familiare ai fans di Guerre Stellari…
Anche i nemici da affrontare erano tutti carismatici e di ogni tipo: dai Kremlings “classici”, a quelli più grossi (che Diddy non è in grado di eliminare saltandoci in testa… ricordatevelo), passando per degli armadilli schizofrenici fino a degli oranghi lanciabarili e, a giudicare dalla faccia, seriamente tossicomani. Su tutti i nemici “rullavano” le famigerate api killer: indistruttibili se non dai barili e davvero temibili.
Ogni mondo poi si concludeva con il solito boss, spesso una versione gigante di nemici incontrati durante il percorso.
Pur essendo, come detto, un platform classico, DKC non mancava di offrire diversi elementi di novità. Soprattutto alcuni livelli brillavano (all’epoca) per originalità: mitici quelli in cui si doveva correre su un carrellino minerario a velocità folle, in stile Indiana Jones; ancora quelli in cui si doveva accendere la luce a tempo per vedere qualcosa; per finire poi con quelli in cui bisognava farsi “sparare” da barili speciali per completare il percorso.
DKC non è facilissimo, anzi. Passato il primo mondo che, come detto, è quasi solo introduttivo al gioco, le cose iniziano a farsi serie.
Spesso il gioco mette a dura prova i riflessi del giocatore: i livelli citati del carrello minerario sono da cardiopalma, così come quelli composti dai “barili cannone” che richiedono precisi calcoli balistici ed una notevole dose di tempismo per essere portati a termine.
Ma soprattutto DKC è duro da completare al 100%. Esatto: come Super Mario World, è possibile completare il gioco senza vederlo tutto.
Ogni livello infatti è “colmo” di sottolivelli bonus, spesso non segnalati in alcun modo, ed oggetti da recuperare (a volte in modo davvero macchinoso). Non è raro, per esempio, che con un barile si possa sfondare una parete di roccia per aprire l’ingresso del bonus; oppure capita, cadendo accidentalmente in un burrone, di trovare un barile che ci spara nel livello segreto.
I livelli bonus non sono difficili in se (di solito si devono raccogliere delle banane o delle vite), il difficile sta nel trovarli… confesso che in tutti questi anni non sono mai riuscito ad andare oltre al 98% di completamento.
Altro elemento relativamente nuovo di DKC sono degli “amici animali” che ci aiuteranno nel nostro percorso, e che potremo cavalcare trovandoli, più o meno nascosti, nei livelli.
C’è il rinoceronte Rambi, davvero inarrestabile (apre anche i livelli bonus a craniate); la rana Wanky, utile nei livelli dove occorre saltare molto in alto; il pesce spada Enguarde, indispensabile nei livelli subacquei nei quali, altrimenti, i nemici sono inattaccabili; infine c’è lo struzzo, che permette di svolazzare per brevi tratti e di correre molto veloce… lo struzzo però va usato solo se strettamente necessario perché, credetemi, porta una sfiga atomica.
Donkey Kong Country è divertentissimo.
SOGNO O SON DESTO?
La prima cosa che colpiva, chiaramente, era la grafica.
Credetemi se vi dico che, prima di allora, non si era mai visto niente di nemmeno paragonabile, tra i sistemi di gioco casalinghi.
Il Super NES dava il meglio di se e, secondo il mio modesto parere, nemmeno i due seguiti per questa console di DKC riuscirono a fare di meglio.
Come detto gli sprite erano stati creati partendo da modelli tridimensionali in CGI, animati e trasformati in bitmap per creare gli sprite consueti. Il risultato faceva letteralmente sbavare, anche se magari al giorno d’oggi potrebbe far sorridere (io comunque continuo a trovarlo spettacolare, a parte l’ovvio limite della bassa risoluzione).
Le animazioni erano fluidissime e magnificamente realizzate, sia per quanto riguardava i personaggi che per i nemici. Giochi di luce ed effetti di profondità (detti parallasse) rendevano il gioco un vero spettacolo per gli occhi.
Anche il sonoro era di assoluto prim’ordine. Oltre ad effetti stereoscopici azzeccatissimi e divertentissimi (il verso che fanno i Kremlings quando gli si salta in testa è ghignosissimo), a colpire sono soprattutto le musiche: ritmate ed incredibilmente coinvolgenti, andavano ben oltre i classici MIDI che si erano sentiti fino ad allora.
La longevità del gioco direi essere più che notevole: oltre al fatto che finire il gioco necessita diverse ore, finirlo al 100% può richiedere un tempo che va da qualche settimana a più infinito.
Ed è sicuramente un titolo che merita di essere rigiocato periodicamente, soprattutto se si è smemorati come me e ci si dimentica della posizione dei livelli bonus praticamente all’istante.
Ma insomma, DKC ha dei difetti? A mio parere non ne ha.
Certo, bisogna essere disposti a dimenticarsi del fatto che ha ormai le sue brave 15 primavere sulla groppa e che, quindi, sul piano strettamente tecnico è un gioco che per alcuni potrebbe risultare addirittura ridicolo. Se per voi il divertimento si basa sul sonoro dolby surround, su una grafica poligonale fotorealistica in alta definizione e su un gameplay articolato quanto il manuale d’uso di un sottomarino nucleare, DKC risulterà quindi dolorosamente vecchio e superato.
Se invece siete persone che riescono a divertirsi anche con le cose più semplici, e se siete disposti ad andare oltre l’apparenza di gioco antiquato, non potrete non amare Donkey Kong Country. Non potrete non accorgervi che si tratta di un autentico capolavoro, una pietra miliare della storia dei videogiochi in grado, ancora oggi, di offrire ore e ore di sano divertimento ed una dose massiccia di emozioni.

GRAFICA - 9
Contestualizzandola nella sua epoca, rasenta la perfezione. Ma io credo che ancora oggi faccia la sua sporca figura.
SONORO - 9
Effetti superlativi e divertenti, musiche che offrono picchi di coinvolgimento altissimi.
GIOCABILITA’ - 10
Raramente ho giocato qualcosa di così semplice e al tempo stesso appassionante, gratificante e divertente.
LONGEVITA’ -10
Finitelo e poi finitelo di nuovo. E poi cercate di finirlo a 100%.
GLOBALE - 9.5
Uno dei giochi più belli di sempre.

 

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© Matteo Bacchin